Vai al contenuto

Canone pāli

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Canone pāli
    Vinaya Piṭaka    
   
                                       
Sutta-
vibhanga
Khandhaka Pari-
vara
               
   
    Sutta Piṭaka    
   
                                                      
Dīgha
Nikaya
Majjhima
Nikaya
Samyutta
Nikaya
                     
   
   
                                                                     
Anguttara
Nikaya
Khuddaka
Nikaya
                           
   
    Abhidhamma Piṭaka    
   
                                                           
Dhs. Vbh. Dhk.
Pug.
Kvu. Yamaka Patthana
                       
   
         
Dhammacakka, "La ruota del Dhamma", è costituita da otto raggi che rappresentano il Nobile ottuplice sentiero.
Edizione standard del Canone pāli thailandese
Un'antica edizione thailandese del Canone pāli

Il Canone pāli o Tipiṭaka (pāli, letteralmente "Tre canestri" — sanscrito Tripiṭaka (त्रिपिटक); cinese Sānzàng (三藏S); giapponese Sanzō (三藏?); coreano Samjang (삼장); khmer Traipětâk (ត្រៃបិតក); singalese Tipiṭaka (තිපිටක); thailandese Traipidok (ไตรปิฎก); vietnamita: Tam tạng — è la più antica collezione di testi canonici buddisti pervenutaci integralmente[1].

Il Canone è il pilastro del Buddismo Theravāda ed è attualmente praticato in Birmania, Thailandia, Cambogia, Laos e Sri Lanka.

Secondo la tradizione della scuola Theravāda il loro contenuto fu fissato in forma orale durante il primo concilio buddista a Rājagaha subito dopo la morte del Buddha e furono messi per iscritto in Sri Lanka nel I secolo a.C.[2] da parte della comunità del monastero Mahāvihāra, anche se l'edizione del Canone pāli di cui disponiamo oggi risale al V secolo d.C.[3].

I Tre Canestri e i cinque Nikāya

[modifica | modifica wikitesto]

Questi scritti si possono dividere in tre categorie, i cui fogli dei primi manoscritti, originariamente consistenti in foglie di palma, erano conservati in canestri, da cui il nome collettivo (tipiṭaka, pāli, da ti, tre, e piṭaka, cesto o canestro, tripitaka in sanscrito).

Vinayapiṭaka "canestro della disciplina"

[modifica | modifica wikitesto]

Il primo "canestro", il Vinaya Piṭaka, è la disciplina monastica, contenente le regole dell'ordine e le procedure da seguirsi in caso di infrazione da parte di un monaco, insieme al resoconto delle circostanze che hanno portato alla promulgazione di ciascuna regola si suddivide in:

Suttavibhaṅga

[modifica | modifica wikitesto]

Il testo è composto da altri due testi:

  • Mahāvibhaṅga - le "Grandi suddivisioni", riguarda la disciplina dei monaci
  • Bhikkhunīvibhaṅga - "Suddivisione delle monache", riguarda la disciplina delle monache.

Denominati "I frammenti", ed è un gruppo di testi formato dal Mahavagga o "Gruppo Grande" e dal "Cullavagga" o "Gruppo piccolo".

Parivārapāṭha

[modifica | modifica wikitesto]

Denominata "Il seguito", l'opera che riguarda la disciplina fu contestata dalla scuola Dhammarucya dello Sri Lanka.

Suttapiṭaka o Cinque Nikāya

[modifica | modifica wikitesto]

Il secondo "canestro", il Sutta Piṭaka, contiene resoconti della vita e degli insegnamenti del Buddha. Il Sutta Piṭaka è a sua volta suddiviso nei cinque Nikāya, elencati nella relativa voce.

Dīghanikāya

[modifica | modifica wikitesto]

Raccolta dei sutta lunghi ed è composto da 34 sutta, suddiviso a sua volta in tre gruppi.

  • Silakkhandhavagga - la divisione sulla moralità [sutta 1-13]
  • Mahāvagga - la grande divisione [sutta 14-23]
  • Patikavagga - la divisione Patika [sutta 24-34]

Majjhimanikāya

[modifica | modifica wikitesto]

Raccolta dei sutta di media lunghezza ed è composto da 152 sutta.

Samyuttanikāya

[modifica | modifica wikitesto]

Raccolta suddivisa per argomenti, costituita da 56 argomenti che raccolgono 7762 sutta.

Anguttaranikāya

[modifica | modifica wikitesto]

Denominata "Raccolta di sutta raggruppati in successione numerica"; si tratta di una raccolta che raggruppa 2300 sutta classificati per argomenti diversi.

Khuddakanikāya

[modifica | modifica wikitesto]

Denominata "Raccolta dei sutta brevi" ed è composta da quindici o diciotto sezioni, a seconda della scuola.

  1. Khuddakapatha - "Lezioni brevi"
  2. Dhammapada - "I versi del Dhamma", suddiviso in 26 stanze e composto da 423 versetti
  3. Udana - "Versetti di edificazione", composta da 80 sutta brevi
  4. Itivuttaka - raccolta denominata "Così fu detto", composta da 112 sutta
  5. Suttanapata - "Gruppo di discorsi", composto da 71 testi in versi
  6. Vimanavatthu - "Storie delle dimore divine"
  7. Petavatthu - "Storie degli spiriti avidi"
  8. Theragatha - "Stanze degli anziani", composta da 264 poemi
  9. Therigatha - "Stanze delle monache anziane", composta da 73 poemi
  10. Jataka - "la ghirlanda delle rinascite. Storie delle vite passate del Buddha", composta di 547 testi
  11. Niddesa - "Le dissertazioni"
  12. Patisambhidamagga - "La via del completo discernimento"
  13. Apadana - "Storie delle vite passate di monaci e monache".
  14. Buddhavamsa - "Il linguaggio dei Buddha" racconta la storia dei ventiquattro Buddha antecedenti a Sākyamuni
  15. Cariyapitaka - "Il canestro della condotta (del bodhisatta prima che diventasse Buddha)"
  16. Nettippakarana (solo nell'edizione birmana del Tipitaka)
  17. Petakopadesa (solo nell'edizione birmana del Tipitaka)
  18. Milindapañha (solo nell'edizione birmana del Tipitaka) "Le domande del re Milinda"

Abhidhammapitaka

[modifica | modifica wikitesto]

Il terzo "canestro" è l'Abhidhamma Piṭaka ed è una raccolta di testi che elaborano ulteriormente diversi concetti e tesi della dottrina presentati nel Sutta Pitaka, giungendo ad una loro trattazione filosofico-metafisica. È composto di sette testi:

  1. Dhammasangani - Raccolta o "Catalogo dei fenomeni che costituiscono l'universo"
  2. Vibhanga - Raccolta che illustra la "Suddivisione dei fenomeni"
  3. Dhatukatha - "Dissertazione sugli elementi"
  4. Puggalapaññatti - Raccolta o "Descrizione delle personalità umane"
  5. Kathavatthu - Raccolta denominata "Delle domande" o "Punti controversi"
  6. Yamaka - Raccolta che riguarda "Le risposte appaiate"
  7. Patthanapakarana

Riguarda le "Relazioni causali dei fenomeni".

Ricerche storiografiche sul Vinaya pāli

[modifica | modifica wikitesto]

Se l'odierno Vinaya pāli sia o no quello cui si attenevano le prime comunità monastiche buddiste è stato a lungo oggetto di studio e di controversia. Secondo i primi studiosi che si interessarono alla letteratura del Vinaya pāli, quello dell'odierno sangha theravāda ha radici antiche quanto il buddismo e anzi ancora più antiche.

Così, ad esempio, si fanno risalire diverse caratteristiche della regola monastica buddista a movimenti ascetici prebuddisti. Nel 1939 scriveva ad esempio la studiosa indiana Durga Bhagvat:

«Dopo un attento scrutinio delle leggi del Vinaya si trova che la struttura delle regole è essenzialmente basata sulla tradizione [prebuddista, NdT], mentre i dettagli e i metodi legali sono invenzioni [originali, NdT] dei buddisti. Le regole sono di fatto prese dagli antichi codici di legge, dalle Upaniṣad, dall'ambiente attuale, ecc.[4]»

In particolare, fa risalire le regole pertinenti il brahmacārin, ossia alla rinuncia (al sesso, all'alcool, al denaro ecc.) all'omonimo movimento ascetico. Inoltre, ritiene «il terzo e il quarto dei Nissaya[5] come principalmente basati sui costumi osservati dai Paribbājaka»[6]. Il tenere un'assemblea dei monaci il quattordicesimo o il quindicesimo giorno del mese lunare risalirebbe invece alla pratica dei sacrifici rituali dei Darśa e dei Pūrṇamāsa, come dettagliati nel Śatapatha-Brāhmaṇa, II 1, 4; I, 1[7]. Altre regole erano state introdotte in reazione ai costumi di altri movimenti ascetici contemporanei. Ad esempio, i bhikkhu non dovevano ricevere il cibo elemosinato nelle loro mani perché così facevano i Titthiya[8]. Secondo alcuni studiosi contemporanei, la genesi del Vinaya Theravāda sarebbe da ritenersi sì controversa, ma comunque successiva a quella di altre scuole e dovuta al fondamento di alcuni scismi. Si sostiene ad esempio che, all'epoca del terzo concilio buddista,

«secondo l'orientamento degli studiosi lo scisma (sanghabeda) ebbe luogo intorno al III secolo. a.C. per ragioni legate al codice monastico che alcuni, gli Sthaviravadin [pāli: Theravāda], volevano modificare in senso restrittivo, in contrasto con la maggioranza, i Mahāsaṅghika, che lo voleva mantenere inalterato.[9]»

Tale tesi viene contestata dalla ricerca del monaco theravāda e studioso australiano Bhante Sujato il quale indica come nel secondo concilio buddista un partito, denominato Vajjiputtaka, ossia "i figli dei Vajji", intendeva permettere il possesso di denaro ai bhikkhu, mentre i monaci dell'ovest e del sud, indicati nel Vinaya dei Theravādin come i Pāveyyaka, ossia "quelli di Pāveyya", erano contrari a questa dipartita dalla regola fino ad allora comunemente accettata. Tale dipartita sarebbe stata dovuta non ad una deliberata reinterpretazione della disciplina, ma alle distanze geografiche che separavano le comunità coinvolte. Il concilio si concluse con la condanna della pratica del sangha Vajjiputtaka, e «tutti i Vinaya concordano che la disputa a Vesali si risolse senza uno scisma», a dimostrazione che le comunità del tempo concordavano su una condotta monastica valida per tutti[10].

Lo scisma, sempre secondo Sujato, si ebbe qualche anno dopo per motivi non legati al Vinaya, ma per via di diatribe dottrinali, ossia sulla possibile presenza di imperfezioni mentali negli arahant. Questa volta mancò l'intesa e i Mahāsaṅghika si staccarono dai Thera, dai quali poi si evolsero i Theravādin[10]. Da quanto risulta dai resoconti dei concili buddisti è possibile ricostruire il contenuto di varie regole monastiche delle comunità che vi avevano preso parte, e risalta come i Vinaya dei Thera e dei Mahāsaṅghika fossero identici per quanto riguarda i punti contesi[11]. L'Autore rileva comunque che

«è dubbio che le varie comunità buddiste, che si trasmettevano i loro testi secondo una tradizione orale, abbiano mai condiviso un Vinaya originale universale che fosse letteralmente identico. Ma è ragionevole assumere che le prime comunità monastiche avessero un Vinaya che era piuttosto uniforme, e che nella maggior parte delle sue caratteristiche corrispondesse agli elementi comuni dei Vinaya oggi esistenti.[10]»

Datazione dei Nikāya del Canone pāli

[modifica | modifica wikitesto]

In genere le raccolte in cui è diviso contengono testi sia antichi e probabilmente testimoni delle autentiche vicende delle prime comunità monastiche e dell'insegnamento del Maestro, che testi più recenti e successivi i primi di secoli. Ad esempio, nell'Assalāyanasutta (nº 93) del Majjhima Nikāya si confronta il sistema sociale castale indiano con quello greco privo di caste, il che porta a datare questo testo a non prima del III secolo PEV[12]. E però il Māra Saṃyutta e il Bhikkhunī Saṃyutta del Saṃyutta Nikāya sono notevoli per il loro uso di una lingua arcaica[13]. Caroline Augusta Foley Rhys Davids ha osservato in un'opera del 1915 come nei più importanti punti dottrinali il Sutta Piṭaka si riveli il prodotto di una comunità unita, che non ha ancora vissuto eventi scismatici[14]. In questo concorda Nalinaksha Dutt[15] in una sua opera del 1930. La Rhys Davids, tuttavia, nel 1928, osserva che il Canone pāli potrebbe non riportare direttamente l'autentico insegnamento del Buddha Shakyamuni[16]. Da fonti esterne si può evincere come tutti i cinque Nikāya del Sutta Piṭaka abbiano preso la loro forma attuale prima della composizione del Milinda Pañha[17], composto nel I secolo d.C.
Barua[18] fa notare come studi accademici che hanno preso in considerazione i brani più arcaici del Kathāvatthu dell'Abhidhamma Piṭaka hanno portato a considerare questo testo risalente al III secolo a.C., il che porta a datare una buona parte dei Nikāya al IV secolo a.C. sia per giustificare il loro essere citati all'interno dell'opera più tarda che in ragione di considerazioni stilistiche, linguistiche e dottrinali.

L'editto di Bhāru dell'imperatore Aśoka dimostra come almeno parte dei primi quattro Nikāya abbiano preso una forma definitiva durante il III secolo a.C.[18].

Confronti con altre fonti epigrafiche, riportati in uno studio del 1933, permettono di datare molti testi dei cinque Nikāya a prima del II secolo a.C.[19].

Alcuni studi più recenti ritengono però che la versione del canone pāli che ci è giunta per opera della comunità monastica del Mahāvihāra di Anurādhapura, Sri Lanka, sia stato redatto per fornire alla comunità di questo monastero «una base istituzionalizzata per la crescita e lo sviluppo continuo della tradizione theravādin. Inoltre la comunità del Mahāvihāra aveva una base testuale apparentemente ortodossa e autorevole in base alla quale confutare i propri rivali della comunità del monastero dell'Abhayagiri, di tendenza mahāyānica.»[20]. Va precisato, inoltre, che la redazione del Canone pāli giunto fino a noi risale alla fine del V secolo d.C. quando la versione attribuita al periodo del re Vaṭṭagāmaṇī (30 a.C.) fu rivista dai monaci del Mahāvihāra[21]. Non sappiamo se e quali modifiche contenesse rispetto alle redazioni precedenti[22], in quanto anche gli altri canoni cingalesi delle scuole avversarie del Mahāvihāra (le scuole di stampo mahāyāna Dhammaruciya[23] e Sagaliya) non sono sopravvissuti alle decisioni politiche-religiose del sovrano cingalese Parakkamabāhu I[24] il quale, nell'XII secolo, decise che solo le dottrine del monastero Mahāvihāra potevano essere insegnate sull'isola[25].

E ancora un secolo circa dopo l'era di questo sovrano, durante il regno di Parākramabāhu II (1236-1271), i monaci dell'isola erano talmente poco edotti delle scritture canoniche che queste, insieme a testi di grammatica, di filosofia e di altre scienze dell'epoca, furono fatte tutte venire dal Jambudīpa, ossia dall'India[26].

Sono scritti in pāli e formano la base della scuola del Buddismo Theravāda. Altre versioni dei testi canonici buddisti, basati a volte su fonti ancora più antiche, formano la base dei canoni di altre scuole antiche (Buddismo dei Nikāya), presentando talvolta delle importanti differenziazioni dottrinali rispetto al Canone pāli. Tali canoni, tradotti da diversi dialetti pracritici in lingua sanscrita sotto l'Impero Kushan, furono in buona parte tradotti in cinese o in tibetano e ancora oggi si trovano conservati in queste lingue.

  1. ^ Il Canone pāli è in una edizione del V secolo d.C., il Canone cinese invece pur essendo stato progressivamente composto a partire dal II secolo d.C. «diversamente dal Canone pāli (il quale sebbene ampio, era ancora di un'ampiezza tale da poter essere copiato grazie all'aiuto di fedeli laici devoti), il Canone cinese, con le sue migliaia di rotoli, era troppo spropositato per essere copiato senza un impegno enorme. Infatti esso non fu prodotto nella sua interezza fino a che la dinastia Song non intraprese un progetto che avrebbe rivoluzionato la distribuzione del Canone. Nell'anno 972 la corte commissionò l'incisione dell'intero canone su blocchi di legno nella città di Chengdu (nel Sichuan), il centro per l'intaglio del legno in Cina» mentre per il Canone tibetano «Solo nel XIII secolo abbiamo un'indicazione che le traduzioni furono accolte e classificate in una serie che si può chiamare canone.» Cfr. Lewis R. Lancaster in Letteratura buddista: Canonizzazione op.cit. pag. 331-6.
  2. ^

    «I pitaka o gli insegnamenti del Buddha furono trasmessi oralmente e nel 397 dell'Era Buddista (89 a.C.) furono messi per iscritto. In questa epoca furono scritti [anche] i loro commentari in singalese»

    H. R. Perera, Buddhism in Ceylon, pag. 33, cit. in K. Lal Hazra, pagg. 170-171
  3. ^

    «Sebbene questa sia l'opinione tradizionale, va notato che fu solo nel V secolo d.C. che si trovò un accordo sulla lista definitiva di testi del Canone del Theravāda, e anche quell'epoca il materiale da includere nel Kuddhaka Nikāya rimase non definito»

    Lewis R. Lancaster in Enciclopedia delle Religioni. Diretta da Mircea Eliade. Vol 10, Milano, Jaca Book-Città Nuova, 2006, pag. 331-2. Cfr. anche

    «Secondo la tradizione singalese, come s'è detto, la recensione in lingua pāli sarebbe redatta su istanza del re Vaṭṭagāmaṇī nello Ālokavihāra da un'assemblea di cinquecento anziani; in effetti il testo attualmente disponibile risale alla versione riveduta a cura dei seguaci del Mahāvihāra redatta alla fine del V secolo d.C. in occasione di un concilio voluto dal re Dhātuasena, versione che, grazie al patrocinio del re Parakkamabāhu I, divenne il punto di riferimento del Theravāda dell'isola con la soppressione delle scuole rivali dai dhammaruciya e dei sagaliya, le cui recensioni del Canone non sono sopravvissute.»

    Mario Piantelli. Il Buddismo indiano in: Giovanni Filoramo (a cura di), Buddhismo. Bari, Laterza, 2001, pagg. 88 e sgg.
  4. ^ D. N. Bhagvat, pag. 49
  5. ^ Mahāvagga, I, 30. I Nissaya sono:
    1) il vivere mendicando,
    2) il vestirsi di stracci gettati nella discarica,
    3) il vivere ai piedi d'un albero,
    4) l'uso dell'orina bovina come medicina.
  6. ^ D. N. Bhagvat, pagg. 51-52
  7. ^ D. N. Bhagvat, pag. 53
  8. ^ D. N. Bhagvat, pag. 54
  9. ^ N. Celli, pag. 113
  10. ^ a b c B. Sujato, pag. 4
  11. ^ B. Sujato, pag. 5
  12. ^ Barua, pag. 2-3
  13. ^ Barua, pag. 3
  14. ^ Caroline Augusta Foley Rhys Davids, Shwe Zan Aung, Points of Controversy; or, Subjects of discourse; being a translation of the Kathā-vatthu from the Abhidhamma-piṭaka, Pali Text Society, 2001 [1915], ISBN 0-86013-002-9., indice I, pagg. 401-404 dell'edizione originale, citata in Barua, pag. 3
  15. ^ Nalinaksha Dutt, Aspects of Mahāyāna Buddhism and its relation to Hīnayāna, Londra, Luzac, 1930. pagg. 146-7, in Barua, pag. 3
  16. ^ «Possiamo trovare l'autentico Sakya più in ciò che i pitaka rivelano inconsapevolmente e hanno sofferto per sopravvivere che in quanto essi affermano come basilare e fondamentale. Questo è avvenuto perché i pitaka sono opera uomini lontani di secoli dal Fondatore, quasi cinque secoli durante i quali i valori subirono delle trasformazioni. » (in Sakya or Buddhist origins, ed. 1931, pag.5 e pag.339, citato in T.V.R. Murti La filosofia centrale del Buddhismo Roma, Ubaldini, 1983, pag.27.)
  17. ^ edito da Treckner, pagg. 13, 18, 21 (tipiṭaka), 190, 341 (Nikāya) e 348, citato in Barua, pag. 3
  18. ^ a b Barua, pag. 4
  19. ^ Ad esempio:

    «Uno studio microscopico delle iscrizioni di Bharut e Sanchi rivelano che "ancora prima del secondo secolo a.C. esisteva già una raccolta di testi buddisti che erano chiamati 'Piṭaka' e che erano suddivisi in cinque 'Nikāya', che c'erano i 'Sutta' in cui fu predicato il 'Dhamma', la religione del Buddha, che alcuni di questi sutta concordano con quelli contenuti nel Tipiṭaka e che 'Jātaka' proprio dello stesso tipo di quelli contenuti nel Tipiṭaka già appartenevano al corpo della letteratura buddista. In breve, in un periodo precedente il II secolo a.C., probabilmente già al tempo di Aśoka o poco dopo, c'era già un canone buddista che, se pure non interamente identico con il nostro canone pāli, gli assomigliava molto"»

    Winternitz, M. (A), History of Indian Literature, vol. II, ed. 1933, pagg. 17-18, cit. in Barua, pag. 4
  20. ^ Charlese S. Prebish Enciclopedia delle Religioni. Diretta da Mircea Eliade. Vol 10, Milano, Jaca Book-Città Nuova, 2006, pag. 193. Cfr. anche Stephen C. Berkwitz in Buddhist History in the Vernacular: The Power of the Past in Late Medieval Sri Lanka. Usa, Brill, 2004, pag.68.
  21. ^ Mario Piantelli. Il Buddhismo indiano in: Giovanni Filoramo (a cura di), Buddhismo. Bari, Laterza, 2001, pagg. 88 e sgg.
  22. ^

    «Perfino tradizioni che ritengono che il canone fu redatto e chiuso durante il primo concilio di Rajaghra, poco dopo la morte del Buddha, ammettono che non tutti gli anziani buddisti furono presenti a quella assemblea e che almeno un gruppo di "cinquecento monaci" insistette nel mantenere la propria versione degli insegnamenti come essi se la ricordavano. Tutta la documentazione disponibile indica che la maggior parte dei canoni non fu mai chiusa. La scuola Theravāda orgogliosa del suo conservatorismo in questioni scritturali ancora nel V secolo d.C. dibatteva sul contenuto del proprio canone. Perfino oggi non vi è concordia completa tra i theravādin riguardo alla sezione del Khuddaka Nikāya del proprio canone. Pertanto non è sempre possibile distinguere chiaramente fra letteratura buddista canonica, postcanonica e paracanonica. Tutte le scuole ritengono che almeno alcuni testi siano stati perduti, troncati od alterati, e che un certo numero di testi posteriori o falsi siano stati incorporati nei canoni di varie scuole. Sebbene occasionalmente queste affermazioni siano state utilizzate per sostenere le posizioni di una scuola contro quella dell'altra, probabilmente esse rappresentano una accurata descrizione dello stato generale delle cose nel tempo in cui furono costituite formalmente le prime raccolte scritturistiche. ... I canoni buddisti furono il risultato di un lungo processo di redazione e compilazione che non siamo più in grado di ricostruire.»

    Risulta tuttavia che alcuni monaci anziani non parteciparono alla recitazione del canone stilato dal primo concilio non perché non ne condividessero il proposito, ma semplicemente perché o erano troppo lontani per potervi partecipare, o non sapevano neanche dell'avvenuta morte del Buddha, o perché ritenevano inutile farlo avendo ascoltato l'insegnamento direttamente dalla bocca del Buddha e ricordandolo perfettamente bene ( Hans W. Schumann, Il Buddha storico, Salerno, 1982, 88-85026-82-6., pagine 302 e 303). È il caso del bhikkhu Purāṇa e dei cinquecento monaci che lo seguivano, che una volta messo al corrente del frutto dei primi lavori ne dibatte e approva le conclusioni, come trovasi nel vinaya mahiśasaka (EN) Bhikkhu Sujato (trad.), Bhikkhuni Samacitta (trad.), The First Council (PDF), su santifm.org, 4. URL consultato il 31-05-2015. e anche in Cullavagga XI.1.11 del canone pāli (EN) Thanissaro Bhikkhu, The Dhammapada - A Translation - Historical Notes, su accesstoinsight.org, Access to Insight (Legacy Edition). URL consultato il 31-05-2015.
  23. ^

    «In questo periodo [fine del I secolo a.C.] alcuni monaci, discepoli di un maestro chiamato Dhammaruci, della scuola dei Vajjiputra in India, arrivarono nello Sri Lanka e furono accolti dai monaci dell'Abhayagiri Vihāra»

    «Il Nikāyasaṅgrahaya riferisce che i monaci dell'Abhayagiri Vihāra fossero noti come dhammarucika e che non solo accettavano, ma che proclamavano anche il Vaitulyapiṭaka [un testo Mahāyāna, NdT] come insegnamento del Buddha (Nikāyasaṅgrahaya, 11; Walpola Rahula, History of Buddhism in Ceylon, pag. 89)»

  24. ^ Per Mario Piantelli il Canone Pāli «grazie al patrocinio del re Parakkamabahu I divenne il punto di riferimento del Theravada dell'isola con la soppressione delle scuole rivali dei dhammaruciya e dei sagaliya, le cui recensioni del canone non sono sopravvissute», op. cit pag. 88.
  25. ^ Mario Piantelli. Il Buddhismo indiano in Giovanni Filoramo (a cura di), Buddhismo. Bari, Laterza, 2001, pagg. 78 e sgg.. André Bareau. Il Buddhismo a Ceylon e nel Sud-Est asiatico, in Henri-Charles Puech Storia del Buddhismo. Bari, Laterza, 1984, pagg. 265 e sgg. Richard H. Robinson e Williard L. Johnson. La religione buddhista. Roma, Ubaldini, 1998, pagg. 182 e sgg.
  26. ^ The Decline of Polonnaruwa and the Rise of Dambadeniya, Amaradasa Liyanagamage, 175; Cūlavaṃsa, W. Geiger, LXXXIV, 26-27; Rājāvaliya, 119, citati in: Lal Hazra, Buddhism in Sri Lanka, pag. 42
  • Dhammapada. Traduzione di Augusto Sabbadini. Demetra. Bussolengo. 1995.
  • Dipak Kumar Barua. An Analytical Study of Four Nikāyas. Munshiram Manoharlal Publishers Pvt. Ltd. Calcutta, 1971, 2ª ed. 2003. ISBN 81-215-1067-8
  • Durga N. Bhagvat, Early Buddhist Jurisprudence, Cosmo Publications, Nuova Delhi, India, senza data (desumible dalla data della presentazione, firmata da E. J. Thomas il 14 gennaio 1939 a Cambridge)
  • Nicoletta Celli. Buddhismo. Milano, Electa Mondadori, 2006.
  • Pio Filippani Ronconi (a cura di), Canone buddhista, discorsi brevi, UTET, Torino, 1968.
  • Eugenio Frola (a cura di), Canone buddhista, discorsi lunghi, UTET, Torino, 1967.
  • Luis O. Gómez. Letteratura buddhista- Esegesi ed ermeneutica, in Enciclopedia delle Religioni vol.10 Milano, Jaca Book-Città Nuova, 2006
  • Kanai Lal Hazra. Buddhism in Sri Lanka. Buddhist World Press. Delhi, 2008. ISBN 978-81-906388-2-1
  • Lewis R. Lancaster. Letteratura buddhista- Canonizzazione, in Enciclopedia delle Religioni vol.10 Milano, Jaca Book-Città Nuova, 2006
  • Hans W. Schumann, Il Buddha storico, 1ª ed., Roma, Salerno editrice, 1982, p. 336, ISBN 88-85026-82-6.
  • (EN) Bhante Sujato, Bhikṣuṇīs in Theravāda (PDF) [collegamento interrotto], su Pubblicazione del "Congresso Internazionale sul ruolo delle donne buddhiste nel Vinaya Bhikhsuni Sangha e i lignaggi di ordinazione", 18 luglio 2007, 21. URL consultato il 31 marzo 2009.
  • Oskar von Hinüber. A Handbook of Pāli Literature. Berlin: Walter de Gruyter 2000. ISBN 3-11-016738-7.
  • B. C. Law, History of Pali Literature, volume I, Trubner, London 1931
  • Russell Webb (ed.), Analysis of the Pali Canon, The Wheel Publication No 217, Buddhist Publication Society, Kandy, Sri Lanka, 3rd ed. 2008. ISBN 955-24-0048-1.
  • Ko Lay, U. Guide to Tipiṭaka, Selangor, Malaysia: Burma Piṭaka Association. Editorial Committee 2003
  • Canone Pali - Discorsi lunghi del Buddha, KKIEN Publ. Int. 2019
  • Canone Pali - Discorsi medi del Buddha, KKIEN Publ. Int. 2019
  • Dhammapada - Canone Pali, KKIEN Publ. Int. 2020
  • Udana - Canone Pali, KKIEN Publ. Int. 2020

Voci correlate

[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti

[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni

[modifica | modifica wikitesto]
  • Canone Pali, su canonepali.net. URL consultato il 29 marzo 2015 (archiviato dall'url originale il 2 aprile 2015).
Controllo di autoritàVIAF (EN186719718 · LCCN (ENn84049005 · GND (DE4128277-2 · J9U (ENHE987007268953005171
  Portale Buddismo: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Buddismo